«Inquinamento
e valori, Gitto replica al consigliere Marano», questo il titolo di un
trafiletto apparso oggi sulla Gazzetta
del Sud, in cui l’assessore comunale all’ambiente richiama il consigliere,
reo di aver «scoperto l’acqua calda», avendo diramato dati – sulle emissioni
della Raffineria - pubblicati online già da un mese sul sito internet del
Comune di Milazzo. Il riferimento – stando a quanto riferisce la Gazzetta – è
al rapporto “Mal’aria industriale” di Legambiente. «La fonte di questi dati –
precisa Gitto – è il Registro europeo. Le soglie di rilevanza sono dei valori
sicuramente da attenzionare, ma i valori limite sono altri e stabiliti dall’Aia».
Ma, a mio
parere, è proprio il riferimento all’AIA della Raffineria (Autorizzazione
Integrata Ambientale, il provvedimento con cui vengono disciplinate e
monitorate le emissioni inquinanti nell'ambiente) che dovrebbe far riflettere
maggiormente e invitare ad una disamina più pacata e ponderata, tanto più che la
stessa AIA è stata messa in relazione – a torto o a ragione - al suddetto rapporto
di Legambiente. Mi spiego.
La Raffineria di Milazzo negli anni Sessanta
Prendiamo in
primo luogo in considerazione il recente biomonitoraggio condotto dal Dipartimento di Medicina Clinica e
Sperimentale dell’Università di Messina in collaborazione con l’Organizzazione
Mondiale della Sanità. Condotto dal prof. Francesco Squadrito, tale
biomonitoraggio ha accertato che un campione di circa 200 adolescenti delle
scuole medie di Milazzo, S. Lucia del Mela, S. Filippo del Mela e di altri
quattro comuni ricadenti nel comprensorio industriale denominato “Valle del
Mela”, opportunamente esaminati (emocromo, urine ed ecografie), è risultato
essere vittima dell’inquinamento: le loro urine hanno messo in luce la presenza
di metalli pesanti nel loro
organismo (in particolar modo nichel,
cadmio e cromo).
Il rapporto
del prof. Squadrito, alquanto allarmante, è stato presentato nel luglio 2013,
riscontrando che in ben 31 casi su 200 si sono presentate alterazioni
morfologiche nell'apparato riproduttore degli adolescenti, tutti di età
compresa tra i 12 ed i 14 anni. Il biomonitoraggio è stato inoltre oggetto di
un’interrogazione parlamentare presso il Senato della Repubblica (atto di sindacato ispettivo n° 3-00455 pubblicato
il 5 novembre
2013, nella seduta n. 134, ad opera dei senatori Catalfo, Nugnes,
Pepe e Martelli) e soprattutto attenzionato, nello stesso mese di novembre,
dalla Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto che ha aperto di
conseguenza un’indagine.
Ed andiamo
adesso al rapporto di Legambiente, quello per il quale Marano avrebbe scoperto
l’acqua calda. Come attesta Mal’Aria
Industriale (novembre 2012), il nichel
viene rilasciato nell’ambiente in modo massiccio dalla Raffineria di Milazzo,
mentre il cromo dalla Centrale Termoelettrica
di S. Filippo del Mela. Le due aziende – indubbiamente le più importanti tra
quelle ricadenti nel comprensorio industriale denominato “Valle del Mela” - in
questo tipo di “produzione” si collocano inoltre ai vertici degli stabilimenti
italiani che rilasciano nell’ambiente tali tipologie di sostanze,
rispettivamente in seconda ed in sesta posizione nella classifica delle
emissioni nell’atmosfera di nichel e cromo.
E torniamo
all’AIA, chiudendo dunque il nostro ragionamento. Ebbene è stata rilasciata
alla Raffineria di Milazzo nel recente 2011 (in occasione della realizzazione
della nuova unità idrogeno HMU3). Esaminando in particolare il relativo parere
rilasciato in data 25
febbraio 2011 in sede di istruttoria dalla Commissione Tecnica di
Verifica dell’Impatto Ambientale si evince che alla predetta data del febbraio
2011 “sul territorio regionale non si
rilevano in via continuativa metalli pesanti (…)» e che «la rete regionale
di monitoraggio della qualità dell’aria è in fase di revisione ed adeguamento
ai criteri stabiliti dagli standard europei», oltre alla circostanza che «le
stazioni di monitoraggio per metalli saranno inserite nel contesto della rete
regionale di monitoraggio nel nuovo assetto futuro”.
«I valori
limite sono altri e stabiliti dall’Aia», ci ricorda l’assessore Gitto. Ma è proprio
la stessa AIA che prende atto dell’inadempienza della Regione Siciliana in
materia di monitoraggi continuativi sui metalli pesanti. Monitoraggi che –
qualora venissero realizzati – comporterebbero verisimilmente un riesame
immediato dell’AIA rilasciata alla nostra Raffineria. Quel riesame che, per un
cavillo burocratico, non viene paradossalmente consentito al vicino Comune di
S. Lucia del Mela, il cui territorio ricade nell’area ad alto rischio
ambientale ed i cui adolescenti presentano – in valori maggiori rispetto a
quelli registrati negli altri Comuni, stando al rapporto del prof. Squadrito - tracce
di metalli pesanti nelle urine.
A tal
proposito molto interessante è quello che sta avvenendo proprio in questi
giorni in un’altra regione a statuto speciale, il Friuli Venezia Giulia, dove l’Arpa
ha appena ricevuto dall’assessorato regionale competente l'incarico di portare
avanti, in collaborazione con l'Università di Trieste, «uno studio approfondito
sulla qualità dell'aria del monfalconese che preveda, oltre all'utilizzo di
apparecchiature automatiche per la rilevazione su basi chimico-fisiche, anche
l'uso dei licheni epifiti come
bioindicatori, al fine di certificare il livello delle emissioni nell'aria con
particolare riguardo per i metalli
pesanti». Con l’iniziativa in questione, promossa dall’assessore regionale
all'Ambiente ed Energia, Sara Vito, in risposta ad un’interpellanza sulle
emissioni della Centrale Termoelettrica di Monfalcone, «solo ora l’attenzione
relativa ai livelli di inquinamento nel monfalconese ha acquisito centralità
nell’azione amministrativa della Regione, in quanto né il biomonitoraggio con i
licheni, né tanto meno l'indagine epidemiologica [erano] mai stati avviati con
l'obiettivo di avere, aggiornati, tutti
gli elementi scientifici che potrebbero motivare anche un eventuale riesame
dell’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) rilasciata alla Centrale di
Monfalcone (…). Inoltre, le rilevazioni sinora eseguite nel monfalconese si
riferivano a parametri come l’anidride solforosa, gli ossidi di azoto, il
monossido di carbonio, le polveri, ma erano carenti di informazioni su alcuni
inquinanti, come appunto i metalli pesanti».
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